Mi chiamo Ahmed, ho 18 anni. Come molti ragazzi sono arrivato ad Agadez da solo, ancora minorenne, attraverso il deserto, in fuga dalle violenze che ho visto e subito nel sud della Libia.

Sono nato nel Darfur, in Sudan, ma del mio Paese non ricordo nulla. Da quando inizio ad avere ricordi, nella mia memoria c’è solo la vita nei campi profughi. E la fuga: dalla morte, dalla paura, dai fantasmi che spesso non mi fanno dormire la notte.

Ho perso mia madre quando avevo 4 anni nel corso dell’attacco alla cittadina in cui vivevo. Ancora oggi non so se sia viva o morta. Ho perso mio padre a 17, quando ha scoperto di essere malato e mi ha detto di partire, perché in breve tempo non avrebbe più potuto mantenermi.

Quando avevo 11 anni, io e mia sorella ci siamo allontanati dal campo profughi dove vivevamo per comprare del cibo. Un gruppo di uomini armati ci ha aggredito. Mi hanno sparato e legato, poi hanno immobilizzato mia sorella e l’hanno violentata davanti ai miei occhi.

Da allora non sono più riuscito a vivere tranquillo. Volevo fuggire, volevo cambiare, volevo fare qualcosa. Quando sono arrivato da solo in Libia, dopo l’inizio della malattia di mio padre, ho cercato lavoro. Degli uomini mi hanno invitato nella loro fattoria: appena arrivati, mi hanno imprigionato e costretto a lavorare come uno schiavo. Un giorno un mio amico si è rivolto ad uno degli aguzzini: “Ci trattate in modo disumano”, gli ha detto. “Vuoi vedere come ti tratto?”, ha risposto, e gli ha sparato in testa.

Allora ho capito che dovevo fuggire, ancora una volta. Nel mezzo di una giornata caldissima, mentre le guardie erano distratte, ho iniziato a correre. Alla fine sono arrivato ad Agadez, in Niger.

Questa è la mia vita e so che non posso cambiare quello che ho vissuto. Sono solo al mondo, devo ricominciare da capo. Ho solo 18 anni. L’unica cosa che chiedo è avere un futuro. Qui nel campo, sono al sicuro, ho da mangiare e da bere. Ma la vita non è solo questo. Ho voglia di studiare: ogni sera trascorro alcune ore leggendo e cercando di imparare le lingue. Partecipo alle attività e ai corsi organizzati da INTERSOS. Voglio trovare la mia strada, e aiuto gli altri ragazzi del campo a trovare la loro. Il mio sogno? Diventare un operatore umanitario, per aiutare gli altri, come fate voi.

Nel centro umanitario di Agadez, gli operatori di INTERSOS, in collaborazione con UNHCR, lavorano ogni giorno per supportare i minori presenti. Organizziamo attività educative, corsi di lingua. Forniamo assistenza legale. Garantiamo attività di supporto psicosociale, che ci consentono di identificare i minori vittime di violenze. Favoriamo l’integrazione con la comunità ospitante.