Nel 2018 INTERSOS ha garantito l’accesso alla salute ad oltre 350.000 persone in una delle zone più difficili del Corno d’Africa. Dal 1993 siamo al fianco della popolazione con programmi di istruzione, prevenzione e protezione umanitaria, per riallacciare i fili della solidarietà.
di Alberto Bomba
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Guardiamo le foto scattate in Somalia oggi e pensiamo a quante ne sono state scattate a partire dal 15 marzo 1993, quando l’Ospedale Regionale di Jowhar iniziò ad essere operativo grazie al supporto di INTERSOS. Nella regione del Medio Shebelle, più di 25 anni fa, ebbe inizio la prima e la più lunga missione della nostra organizzazione umanitaria. Da decenni, in Somalia donne, uomini e bambini subiscono gli effetti della guerra civile, dei conflitti interni, della instabilità politica, dell’esclusione sociale e della marginalizzazione. Solo nell’ultimo anno quasi 900.000 persone hanno lasciato il paese per raggiugere il Kenya, l’Etiopia e lo Yemen.
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Oggi, tra i codici con cui vengono inserite le missioni nel database di Intersos, i progetti in Somalia sono preceduti dal codice 02, mentre lo 01 indica i nostri programmi di protezione umanitaria attivi in Italia. Ad ogni codice del linguaggio dei numeri corrisponde purtroppo una crisi. Nella realtà, questa è ancora la nostra prima missione, una presenza che, ininterrottamente, torna ad essere confermata nel curriculum di Intersos.
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Per più di 25 anni siamo riusciti a fornire continuità nell’assistenza medica e nella protezione umanitaria, restando a fianco della popolazione stremata dalle carestie, dalla siccità, dai combattimenti, dai saccheggi e dalla guerra civile. All’orgoglio con cui presentiamo questo risultato si accompagna una cruda e tragica realtà: ancora oggi in Somalia ci sono più di due milioni di sfollati interni e il paese è attraversato da diverse crisi umanitarie, che si alternano o ritornano ciclicamente.
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La nostra organizzazione ha preso in carico la struttura di Jowhar dopo l’handover del contingente italiano della missione Ibis. Intersos continua ad operare nel sud della Somalia, luogo dove per decenni sono stati sistematicamente violati i diritti umani e dove il destino di migliaia di persone è legato a doppio filo alla presenza di strutture pubbliche capaci di garantire l’accesso a cure mediche e servizi igienici.
L’ospedale di Jowhar è diventato un punto di riferimento, un servizio sanitario “aperto a tutti” in una regione in cui il bisogno di protezione umanitaria è altissimo, dati i drammatici effetti della guerra civile, dei matrimoni forzati, delle violenze di genere, delle epidemie, dell’elevato numero di minori non accompagnati esposti agli abusi, allo sfruttamento, fino al loro coinvolgimento attivo e diretto nei conflitti.
Sono diversi gli indicatori di questa emergenza: nella regione all’età di diciotto anni le donne hanno in media partorito già due volte, nel 50% dei casi i neonati non hanno le vaccinazioni di base e i casi di mortalità da colera sono in drammatico aumento.
Per usare le parole di Hassan Mahad Abdi, Field Coordinator a Jowhar, parliamo di 1km² di compound e 3 piani di ospedale “che hanno fornito cure e medicinali anche nei periodi più critici e che non hanno mai spesso di operare, neanche sotto i bombardamenti”. Mentre gli sforzi di stabilizzare le crisi umanitarie sembravano essersi sciolti come neve al sole, soprattutto nel 2008, quando Jowhar diventò teatro di aspri combattimenti che portarono all’evacuazione nel personale internazionale, “la presenza della nostra organizzazione umanitaria ha continuato a fare la differenza nella vita di migliaia di somali”.
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Malgrado tutto, oggi a Jowhar ci sono 93 posti letto e più di 65 operatori, in una struttura che opera con un raggio di azione di oltre 60 km e che rifornisce due cliniche mobili. L’ospedale è il centro di un network sanitario che si è creato con i progetti attivi nei distretti di Jowhar, Balcad, Hawadley e Warsheik. In totale, nel 2018, l’ospedale ha servito più di 350.000 persone. Tra giugno e dicembre 2018 sono stati operati d’urgenza più di 1600 pazienti, e sono stati curati più di 2900 casi di malattie croniche come asma e diabete. In aggiunta ai 3812 casi di malnutrizione e di problemi respiratori, grazie alle ambulanze di INTERSOS a Jowhar hanno ricevuto assistenza oltre 1500 pazienti provenienti dai villaggi circostanti.
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“Mi chiedete se e come nel tempo è cambiata la percezione del nostro lavoro da parte dei somali. In 25 anni Intersos ha portato avanti innumerevoli programmi, dalla costruzione di scuole primarie alla prevenzione e cura delle epidemie, dalla formazione professionale alla protezione dei minori, dalla lotta alla violenza di genere ai programmi per garantire l’accesso all’acqua potabile…Sapete – continua Hassan – a Jowhar tornano a lavorare ragazzi che si sono laureati a Mogadiscio perché hanno avuto la fortuna di iniziare a studiare con Intersos”.