Sono quasi mezzo milione gli afgani che sono tornati dal Pakistan da quando, quasi tre mesi fa, il Governo pakistano ha annunciato un piano di rimpatrio immediato per i cittadini stranieri senza documenti.

Ora tutte queste persone, il cui numero è destinato ad aumentare giorno dopo giorno, si trovano, sfollate e senza risorse, ad affrontare  i rigidi mesi invernali in un Paese, l’Afghanistan, che non ha la possibilità di sostenerle. L’Afghanistan, infatti, sta ancora scontando decenni di conflitti, disastri come i recenti e devastanti terremoti nella parte occidentale del Paese e una crisi economica paralizzante. Con 29 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria, ha poco da offrire a chi sta tornando.

INTERSOS, insieme ad altre otto ONG che lavorano nel Paese, chiede con urgenza alla comunità internazionale e ai donatori umanitari di aumentare il sostegno alle famiglie sfollate che sono tornate in Afghanistan per garantire la loro sopravvivenza durante l’inverno. Inoltre, per evitare l’aggravarsi della crisi, esortano i Paesi ospitanti a continuare a offrire rifugio agli afgani all’estero fino a quando non sarà possibile un ritorno sicuro e sostenibile nel loro Paese d’origine.

 

 

 

Comunicato congiunto

 

Un gruppo di nove ONG internazionali che operano in Afghanistan chiede con urgenza alla comunità internazionale e ai donatori umanitari di aumentare il sostegno alle famiglie sfollate che sono tornate in Afghanistan per garantire la loro sopravvivenza durante i rigidi mesi invernali. Inoltre, per evitare l’aggravarsi della crisi, esortano i Paesi ospitanti a continuare a offrire rifugio agli afgani all’estero fino a quando non sarà possibile un ritorno sicuro e sostenibile nel loro Paese d’origine.

Sono passati quasi tre mesi da quando il Pakistan ha annunciato che i cittadini stranieri privi di documenti devono lasciare il Paese o affrontare la deportazione; da allora, quasi mezzo milione di afghani ha attraversato il confine con l’Afghanistan. Le famiglie afghane di ritorno affrontano un futuro cupo, con poche o nessuna risorsa per sopravvivere al rigido inverno, per non parlare della ricostruzione delle loro vite, avvertono CARE International (CARE), il Consiglio danese per i rifugiati (DRC), INTERSOS, International Rescue Committee (IRC), Islamic Relief Worldwide (IRW), Mercy Corps, il Consiglio norvegese per i rifugiati (NRC), Save the Children International e World Vision International (WVI).

L’80% dei rimpatriati è costituito da donne e bambini che sono esposti a maggiori rischi di protezione durante il viaggio di ritorno in Afghanistan.

Mariam*, una madre di cinque figli confinata in uno spazio abitativo con undici membri della famiglia, racconta le difficoltà della sua famiglia nel soddisfare i propri bisogni: “Abbiamo usato tutti i nostri soldi, compresa l’assistenza ricevuta al confine, per tornare in Afghanistan e pagare le spese di trasporto. Alcuni parenti ci hanno aiutato a trovare un rifugio a Jalalabad, ma il proprietario ora ci chiede l’affitto e noi non abbiamo più nulla. Cosa troveremo da mangiare? Vorrei che potessimo avere una casa nostra e trovare opportunità di lavoro. Senza un sostegno per noi donne, saremo costrette a chiedere l’elemosina per strada o a mandare i nostri figli in strada per trovare qualsiasi lavoro possibile“.

L’Afghanistan sta ancora scontando decenni di conflitti, disastri come i recenti e devastanti terremoti nella parte occidentale del Paese e una crisi economica paralizzante. Con 29 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria, l’Afghanistan ha poco da offrire a chi sta tornando.

Senza nulla a cui tornare e con risorse limitate a disposizione, la sopravvivenza e il benessere delle famiglie che rientrano sono a rischio. La mancanza di posti di lavoro e di opportunità occupazionali incide pesantemente sulla capacità di coloro che rientrano di sostenere le proprie famiglie e di integrarsi nelle comunità, soprattutto per i nuclei familiari composti da donne. Le soluzioni a lungo termine devono essere prioritarie anche per aiutare tutti gli sfollati afghani nel Paese a ricostruire le loro vite. Ad esempio, devono potersi insediare su terreni adeguati senza temere sfratti e ulteriori spostamenti, nonché accedere a opportunità di lavoro e all’istruzione.

 

*Nome di fantasia per motivi di protezione

 

Contesto

 

  • Dal 15 settembre al 9 dicembre 2023, 456.590 persone sono rientrate dal Pakistan in Afghanistan. Si prevede che questo numero aumenterà nei prossimi mesi.
  • Il 26 settembre 2023, il Ministero dell’Interno del Governo del Pakistan ha pubblicato il Piano di rimpatrio degli stranieri illegali. Il piano delinea le procedure di rimpatrio/espulsione proposte per i non cittadini che risiedono in Pakistan e non sono in possesso di un visto valido in tre fasi, a partire dai cittadini afghani privi di documenti, seguiti dai titolari di Afghanistan Citizen Card (ACC) e dai titolari di Proof of Registration (PoR).
  • L’80% dei rimpatriati sono donne e bambini, il 48% sono donne e ragazze e il 13% sono capifamiglia.
  • Dei 4,4 milioni di rifugiati afghani che si stima vivano in Pakistan, 1,73 milioni non hanno documenti legali per rimanere.
  • L’UNHCR ha emesso un avviso di non ritorno in Afghanistan nell’agosto 2021. È stato rinnovato nel febbraio 2023 e chiede di vietare i rimpatri forzati dei cittadini afghani, compresi i richiedenti asilo la cui domanda è stata respinta.
  • Per tutto il mese di ottobre e novembre 2023, il numero giornaliero di arrivi ha oscillato tra i 9.000 e i 10.000 individui, in netto contrasto con la precedente media di circa 300 individui al giorno prima dell’annuncio. L’OIM ha registrato picchi fino a 57.000 persone nella notte della scadenza.
  • Secondo le stime delle Nazioni Unite, 29 milioni di afghani all’interno del Paese hanno attualmente bisogno di assistenza umanitaria, e 17,2 milioni di persone, il 40% della popolazione, faticano a soddisfare i loro bisogni alimentari di base (OCHA).
  • Le operazioni di aiuto nel Paese devono far fronte a una carenza critica di fondi, poiché i bisogni umanitari rimangono gravi. Mentre si avvicina la fine dell’anno, l’appello di 3,2 miliardi di dollari per aiutare più di 29 milioni di persone in tutto il Paese è finanziato solo per il 41,9%.

 

Foto di Maisam Shafiey/NRC