I bisogni umanitari stanno crescendo. Martin Rosselot, nuovo Direttore dei Programmi di INTERSOS, parla dei risultati da consolidare e delle nuove sfide da affrontare

 

 

Da giugno 2023 ricopri la carica di Direttore dei Programmi di INTERSOS. Cosa hai trovato di diverso in INTERSOS rispetto alle altre organizzazioni per cui hai lavorato?

 

Sicuramente INTERSOS è pronta a mettersi in gioco e a investire energie per lavorare in prima linea, il che è un valore aggiunto nel rispondere alle crisi emergenti. Un esempio su tutti: in un contesto generale in cui l’accesso alle negoziazioni sta diventando più complicato che mai, INTERSOS ha dedicato specifiche risorse proprio a questo aspetto, creando ad hoc la figura di Senior Humanitarian Advisor.

Un’altra specificità di INTERSOS è poi senz’altro la capacità crescente di lavorare in modo integrato sull’accesso alla salute e sulla protezione. Nelle crisi in cui i conflitti provocano un alto numero di sfollati, dando vita a contesti particolarmente esposti a violenza e abusi, l’approccio integrato che utilizza INTERSOS fa un’enorme differenza in termini di impatto sulla salute mentale delle persone. Ne vediamo un chiaro esempio in Congo, dove la violenza sessuale è utilizzata come un’arma. In questi scenari la capacità di affiancare gli interventi di salute a quelli di risposta e prevenzione degli abusi è un punto di forza.

 

Alla luce di questi primi 6 mesi di incarico, quali credi che siano le principali sfide che l’organizzazione ha dovuto affrontare?

 

I bisogni umanitari stanno crescendo in tutto il mondo, questa è senz’altro la sfida più grande con cui ci stiamo confrontando. Le crisi si stanno moltiplicando: abbiamo nuove crisi in Sudan e la catastrofe che si sta consumando a Gaza da ottobre. Questi scenari vanno ad aggravare una già preoccupante situazione umanitaria globale, perché si sommano alle crisi precedentemente in corso. Aumenta quindi il numero di persone che hanno bisogno di aiuto umanitario ma, sfortunatamente, le risorse per rispondere a questi bisogni non aumentano nella stessa proporzione. Solo per fornire qualche esempio: in Africa occidentale abbiamo raggiunto con difficoltà il 30% di quello che chiamiamo Humanitarian Response Plan, ossia il budget destinato alle operazioni umanitarie. Questo ci costringe a fare di più con poche risorse, una sfida enorme. Il mondo umanitario poi sta diventando sempre più “amministrativo”. I donatori stanno aumentando il numero di audit e in generale le regole sulla gestione dei fondi sono sempre più rigide. Di conseguenza dobbiamo dedicare a questo aspetto molte energie in termini di carichi di lavoro.

Un’altra realtà preoccupante con cui dobbiamo interfacciarci riguarda le sempre più frequenti violazioni del Diritto Internazionale Umanitario, che avvengono a diversi livelli in tutto il mondo: da quelle perpetrate dai gruppi locali armati fino alle potenziali violazioni messe in atto dai governi sostenuti dalle grandi potenze. In aggiunta a questo, gli strumenti di risposta adottati dagli stati, come le sanzioni e le liste antiterrorismo, spesso limitano le operazioni umanitarie. Prendiamo ad esempio le sanzioni adottate nei confronti del governo in Afghanistan o delle autorità ufficiali in Siria: queste misure hanno un impatto sulla nostra capacità di operare, perché le istituzioni bancarie occidentali sono restie a trasferire denaro in questi contesti.

 

Parliamo invece dei successi.

 

Quest’anno abbiamo fatto un ottimo lavoro in risposta all’emergenza sudanese. In Ciad siamo riusciti a costruire un campo a Zabout per accogliere 40.000 rifugiati sudanesi al confine, in pochissimo tempo e durante la stagione delle piogge. Questo è un successo per noi, dimostra che possiamo essere estremamente reattivi a livello operativo. Ovviamente l’intervento in Ciad si inserisce all’interno di un approccio regionale che ha visto INTERSOS coinvolta nel sostegno ai rifugiati sudanesi anche in Repubblica Centrafricana e in Sud Sudan.

Anche la risposta d’emergenza in Ucraina è stata finora molto efficace. In particolare, in seguito all’alluvione di Kakhovka, i nostri team sono intervenuti immediatamente per supportare le migliaia di persone sfollate. In Ucraina stiamo sperimentando dei modelli di Rapid Response Mechanism (RRM), che hanno dato risultati positivi e che potrebbero essere replicati in altri contesti simili.

Sul fronte delle vaccinazioni poi stiamo diventando sempre più ambiziosi, abbiamo condotto delle campagne vaccinali su larga scala in aree complesse come il Borno State in Nigeria e stiamo esplorando nuovi possibili partenariati per aumentare le nostre capacità in questo settore.

 

Prima di diventare direttore dei programmi sei stato Direttore regionale per il medio oriente. Negli ultimi giorni stiamo assistendo a un’escalation della guerra in medio oriente con il coinvolgimento diretto anche di altri paesi. Cosa comporta e potrà comportare questo dal punto di vista umanitario?

 

Stiamo monitorando l’evoluzione del contesto, perché i rischi di una escalation sono importanti, prima di tutto nei territori palestinesi occupati dove il conflitto in West Bank potrebbe esacerbarsi, imponendo uno scenario ancora più catastrofico e destabilizzante. Anche se INTERSOS non lavora direttamente in questi territori, stiamo monitorando l’impatto del conflitto a livello generale e nei paesi dell’area in cui siamo presenti.

In Libano il conflitto in corso tra Israele ed Hezbollah rischia di aggravarsi, come già avvenuto nel 2006. Entrambe le parti sembrano avere interesse a evitare un’escalation, in particolare il Libano che vive già una crisi interna al paese. Tuttavia, in situazioni tese come quella a cui stiamo assistendo, esiste il rischio che la situazione si deteriori e per questo dobbiamo essere estremamente vigili.

Anche in Yemen manteniamo l’attenzione molto alta. La situazione nel Mar Rosso è tesa e potrebbe inasprirsi, anche se lo scenario di un conflitto aperto tra USA e Regno Unito in opposizione alle Autorità de facto di Sanaa è poco probabile. Ciò che più preoccupa al momento sono le ripercussioni della designazione di Ansar Allah come gruppo terrorista, misura che da un lato può pregiudicare le possibilità di ripresa del paese, e allo stesso tempo complica le attività umanitarie a supporto della popolazione.

 

Come accennavi INTERSOS è presente nel sud del Libano, dove la situazione è molto tesa. Che attività stiamo portando avanti al momento?

 

Attualmente stiamo monitorando i movimenti delle persone sfollate e valutando i loro bisogni quotidianamente, fornendo anche delle soluzioni in termini di protezione. E ovviamente dobbiamo essere pronti a potenziare il nostro intervento nel caso in cui la situazione dovesse precipitare. Esistono piani di emergenza per guidare le nostre reazioni e risposte nel caso in cui il numero di sfollati e i loro bisogni aumentino oltre certe soglie.

 

Quali pensi che saranno i principali fronti di crisi che vedranno INTERSOS impegnata nel 2024?

 

Stiamo esplorando la possibilità di aprire una nuova missione in Sudan per rispondere meglio alla crisi in corso. Poi l’Afghanistan resterà centrale. Sebbene l’attenzione mediatica sia calata, infatti, la situazione nel paese non è migliorata: i servizi, le infrastrutture e l’economia di questo stato sono ancora estremamente fragili e la povertà è una condizione permanente. Stiamo inoltre monitorando le possibili ripercussioni, in termini di carico umanitario, delle migliaia di persone espulse dal Pakistan che dovranno nei prossimi mesi fare ritorno in Afghanistan.
Manterremo poi la nostra presenza in Ucraina, dove non vediamo una soluzione alla crisi nel breve periodo. Allo stesso modo continueremo a rivolgere la nostra attenzione e le nostre operazioni alle crisi in Africa Centrale e in Africa occidentale, specialmente nel Sahel, dove i conflitti, combinati all’impatto del cambiamento climatico, provocano un numero sempre più alto di sfollati.