Nella Libia in guerra nasce “Casa Mia”, luogo protetto per minori libici e migranti.

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Quando ha inizio una guerra ci si chiede sin da subito se e quando mai terminerà.
Il tempo si dilata a tal punto da temere di viverci per sempre in quel terrore costante, scandito dal suono delle sirene e da quello che ne consegue, dal sibilo e poi dallo scoppio delle bombe.
In Libia è in corso una guerra spesso narrata come silente seppure, in maniera incostante, prosegue il suo corso vessando uno stato instabile, vicino al fallimento per via delle disgregazioni e divisioni interne: politiche, sociali, economiche, tribali.
Le prime vittime innocenti di ogni conflitto sono i minori, bambini e bambine che vedono trasformarsi la loro quotidianità e che per un periodo imprecisato di tempo sono costretti ad interrompere il loro percorso scolastico, i loro giochi all’aria aperta, la loro vita d’infanzia.
Dall’inizio del conflitto civile libico, aprile 2019, che vede fronteggiarsi la Lybia National Army del generale Haftar contro il Governo di unità nazionale (Gna), guidato da Fayez al-Serraj, si è aperta una pericolosa escalation militare con bombardamenti contro strutture civili come case, edifici pubblici, aeroporti e un sempre maggiore coinvolgimento di forze straniere a supporto delle due parti.
Ad oggi 823.000 persone, tra cui circa 248.000 bambini, si stima abbiano bisogno di assistenza umanitaria.

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Come raccontare il mondo ad un bambino che vive in un paese in guerra? Come si può alleggerire quel macigno di paura che si porta sulle spalle ogni sera prima di addormentarsi e ogni mattino al suo risveglio?
Con quali giochi farli divertire quando anche la strada ed i parchi diventano luoghi a rischio per la loro vita?
Nella città di Tripoli c’è un posto che prova a dare risposte a tutte queste domande.
“Baity” che in arabo significa “Casa Mia”, è un centro per minori, libici e migranti, realizzato da INTERSOS, che prova a non far dimenticare la spensieratezza degli anni della crescita, nonostante tutto fuori ne sia minaccia.
“Casa Mia” nasce in pieno conflitto libico, in una città complessa come quella di Tripoli dove, oltre ai cittadini residenti, ci sono migranti provenienti dall’Africa subsahariana, coloro che tenteranno di raggiungere l’Europa attraversando il mare.
In questo contesto, negli ultimi quattro mesi, INTERSOS si è presa cura di 365 bambini tra i 6 e i 18 anni, attraverso varie attività ricreative ed educative, accompagnando i minori anche in un percorso di supporto psicologico.
I racconti giornalieri sono verità del tempo trascorso e dello spazio condiviso in grado di alleviare la cupezza del vivere in una città di spari e sono proprio loro, i bambini e le bambine, a testimoniarlo.

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“Oggi è mercoledì e solo ieri nel quartiere di Souq al Jumaa ci sono state un paio di esplosioni, nessun ferito, ma la paura si; quella c’è sempre”, racconta Samia Shehab, Country Program Coordinator Libya di Intersos. “eppure i bambini sono già lì, nel nostro centro Baity pronti dalle 10 di mattina per truccarsi e travestirsi, per mostrare tutte le loro creazioni e dimostrare che loro non si fermano e che se la guerra va avanti, loro non demordono”.
Samia conosce ad uno ad uno tutti i minori che frequentano Baity, una seconda casa per molti di loro, per altri un rifugio dove ritrovarsi e dimenticare l’esterno.
La maggior parte di loro sono libici, figli di famiglie che con la guerra hanno dovuto affrontare disagi e difficoltà anche economiche prima sconosciute. Poi ci sono tutti gli altri, più di 100 minori migranti vulnerabili e bisognosi di essere seguiti in un paese non loro, per
di più un paese in guerra.

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“Questo è un posto dove essere protagonisti, dove riacquistare un po’ di serenità, allegria e fiducia, dove decidere come narrare le proprie storie, perché fuori, tra le bombe, l’assenza di corrente e l’insicurezza generale rende tutto impraticabile”, continua a raccontare Samia.
La comunità, le famiglie, le istituzioni locali hanno accolto con grande entusiasmo la nascita di Casa Mia, molte sono le scuole che chiedono ad Intersos di occuparsi dei loro studenti dopo il normale orario scolastico. Un dopo scuola necessario per evitare che cadano nel buio della paura, che l’impossibilità di giocare in un parco, cosa per ora che avviene solo in alcune ore della domenica, sia per loro un trauma per la vita.

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“Quando la giornata finisce, grandi e piccoli vanno a casa, qualcuno incontrerà dei check point per strada e avrà paura, qualcuno non avrà l’acqua o l’elettricità e qualcun altro sentirà altre bombe e altri spari. Tutti però sanno che torneranno il giorno dopo a Baity, per discutere, capire, giocare e ricominciare la loro vita perché, anche a Tripoli, anche quando tutto è incerto, il futuro è importante e a Baity il futuro è quello che si costruisce ogni giorno.”