I bombardamenti nel Sud del Libano sono sempre più pesanti e colpiscono ormai ben oltre la linea del fronte. L’ipotesi di un’escalation sembra sempre più vicina e cresce il numero di persone che scelgono di fuggire in altre aree del Paese, mentre quelle con meno mezzi restano indietro, a pochi metri dalle bombe.

 

Da ormai 8 mesi gli scontri tra le forze israeliane e Hezbollah proseguono senza sosta e l’impatto dei bombardamenti su case, negozi, infrastrutture civili, e sulla popolazione stessa è sempre più grave. Il numero di civili uccisi nel conflitto è salito a 95, tra cui donne, bambini, operatori sanitari e giornalisti, mentre il bilancio degli sfollati interni nel Paese è arrivato a oltre 95.000 persone.  L’82% della popolazione sfollata vive ospite presso altre famiglie, molto spesso in contesti sovraffollati, mentre intanto oltre 70.000 persone vivono ancora nel raggio di 12 km dal confine con Israele, dove i bombardamenti sono più intensi.

Sosteniamo i civili colpiti da questo conflitto fin dai primissimi giorni della crisi e, grazie alla nostra presenza capillare nel Paese e a quella dei volontari alle frontiere, possiamo portare aiuti immediati alla popolazione siriana e libanese al confine, attraverso interventi brevi e mirati nelle organizzati con lo strumento della deconfliction, in coordinamento con UNIFIL e OCHA. 

 

I nostri interventi al confine

Tra febbraio e maggio 2024 abbiamo svolto tre interventi mirati al confine, distribuendo beni di prima necessità e denaro per affrontare l’emergenza e fornendo servizi di protezione. Nel corso di uno di questi interventi abbiamo riaperto in via eccezionale il nostro Safe Space a Marjayoun, chiuso a novembre per motivi di sicurezza, per fornire assistenza psicologica d’emergenza ai casi precedentemente identificati dal nostro staff e dai volontari, in gran parte donne che stanno vivendo una condizione di disagio psicologico. 

La presenza di diverse figure professionali, tra cui anche psicologi, nei nostri team al confine ha dato alle persone che vivono sotto la minaccia continua della guerra la possibilità di sfogare e processare i propri sentimenti di paura, rabbia e disperazione, e ha consentito al nostro staff di identificare i bisogni presenti in diversi settori.

Gli abitanti delle aree del sud hanno enorme bisogno di supporto materiale, perché i  bombardamenti hanno distrutto importanti infrastrutture idriche e terreni agricoli, e costretto a chiudere strutture sanitarie, scuole e tribunali, lasciando le persone senza servizi essenziali e molto spesso senza lavoro e mezzi di sostentamento. Un altro grande problema è l’accesso all’acqua pulita che è stato compromesso dagli attacchi alle infrastrutture, generando tra gli abitanti il timore che molte fonti d’acqua siano contaminate.

Ma i bisogni in queste aree sono più complessi: abbiamo osservato gravi sintomi di disagio psicologico tra i bambini, ma anche tra le donne e gli uomini ed è emerso chiaramente un aumento degli episodi di violenza domestica. Molte donne inoltre si ritrovano da sole a gestire la famiglia perché i mariti si sono spostati altrove alla ricerca di un lavoro. Le scuole chiuse rimangono però il problema principale. L’assenza di attività educative o ricreative ha portato alle peggiori forme di lavoro minorile, con molti bambini osservati su strade pericolose a raccogliere plastica, ferro e altri materiali per poi venderli. 

 

La comunità siriana rifugiata al confine

Secondo i dati che abbiamo raccolto da gennaio alla fine di aprile 2024, il numero di siriani sfollati è notevolmente aumentato, raggiungendo ad aprile il 72% del totale degli sfollati interni, mentre a gennaio erano solo il 17%. Di contro, c’è stata una diminuzione importante degli sfollati libanesi, che a gennaio erano l’82% del totale mentre ad aprile sono arrivati a essere solo il 22%. Gli sfollati libanesi si sono infatti spostati inizialmente più rapidamente grazie a reti e risorse familiari e comunitarie più forti. Al contrario, gli sfollati siriani hanno inizialmente esitato a trasferirsi per diverse ragioni, tra cui le ristrettezze finanziarie, l’assenza di reti comunitarie di supporto, la paura di perdere le proprie case in affitto. La stagione agricola delle olive offriva del resto ai siriani lavori ad alto rischio ma ben pagati, incoraggiandoli a rimanere nonostante i pericoli. Con l’aggravarsi dei problemi di sicurezza, però, anche chi era restio sta abbandonando le zone in cui si combatte.

Sono tuttavia molti i siriani che hanno deciso  in ogni caso di rimanere al Sud, affrontando mille difficoltà. Nei distretti di Hasbaya e Marjaayoun, i rifugiati continuano a lavorare nei campi coltivati nonostante l’alto rischio di bombardamenti. Nel corso di una delle missioni al confine, gli operatori di INTERSOS hanno visitato alcuni insediamenti informali che ospitano famiglie siriane per valutarne i bisogni. Le persone hanno riferito di sentirsi intrappolate negli insediamenti, in condizioni igieniche pessime, spesso senza elettricità per mesi e con accesso solo a fonti d’acqua inquinate. In questi luoghi vivono isolate dal resto della collettività, anche a causa delle tensioni con la comunità libanese, che il conflitto non sta facendo altro che esacerbare.

I capifamiglia sono senza lavoro e pur di procurarsi una qualche forma di sostentamento mandano i figli a lavorare. Nei tre insediamenti visitati dai nostri operatori, questo fenomeno riguarda due terzi delle ragazze e un terzo dei ragazzi e nessuno dei bambini frequenta più la scuola.