La fame è tornata a dominare come non mai intere aree del mondo e rappresenta una realtà quotidiana per centinaia di milioni di persone

 

 

Stiamo vivendo una crisi alimentare globale senza precedenti. Non è uno slogan. Dopo decenni di progressi nella lotta alla fame, i dati più recenti ci restituiscono una realtà per certi versi scioccante, fornendo una drammatica cornice statistica che conferma le osservazioni quotidiane che il nostro staff ci invia ogni giorno dalla prima linea delle emergenze.

 

Secondo i dati del WFP (World Food Programme) le persone che vivono in condizioni di insicurezza alimentare acuta sono salite fino 345 milioni, più del doppio rispetto al 2019, quando erano 135 milioni. Come dire: una popolazione grande cinque volte l’Italia si ritrova, in poco più di tre anni, a fare fronte ad una situazione di grave mancanza di cibo. La fame. Che per 50 milioni di persone ha il nome ancor più terribile di carestia, famine, termine che, nella classificazione umanitaria, indica una catastrofe già in atto, con un forte aumento degli indici di mortalità.

 

In assenza di dati certi, oltre 13 milioni di bambini nel mondo, secondo le stime di Unicef, soffrono di malnutrizione acuta severa, vivendo condizioni di grave deperimento che, se non curate, possono rapidamente condurre alla morte. Occorre agire subito per garantire accesso a cure e cibo, salvare vite umane, evitare che decenni di sviluppo e miglioramenti siano cancellati.

 

Le cause della fame

 

Le guerre rimangono la principale causa scatenante della fame, e oltre il 60% delle persone che sperimentano condizioni di grave insufficienza alimentare si trova in aree di conflitto. In questo quadro, la guerra in Ucraina, con la forte riduzione, a livello globale, delle forniture di cibo, carburante e fertilizzanti, di cui il Paese dell’Est europeo era importante produttore o tramite, sta già provocando un ulteriore deterioramento della situazione di molti Paesi.

 

L’aumento dei prezzi limita l’accesso al cibo per le persone che vivono condizioni di povertà e colpisce le economie più fragili, su cui pesano ancora le conseguenze della pandemia di Covid-19. In Yemen, ad esempio, abbiamo già osservato negli ultimi mesi il raddoppio del costo dei prodotti alimentari, il crollo delle importazioni di carburante e un’impennata dell’inflazione. Per fare un esempio, nel sud del Paese un chilo di farina di frumento costa ora in media più di 800 rial (circa 3,20 dollari USA), rispetto ai 146 rial prima della crisi. Per una famiglia yemenita anche procurarsi il pane diventa, quindi, sempre più difficile.

 

Infine, ma non in ordine di importanza, i cambiamenti climatici e l’impatto di inondazioni e periodi di siccità fuori dal comune pesano sui raccolti e sulla capacità di autosussistenza delle persone. L’imprevedibilità e gli eccessi del clima sono diventati un fattore determinante in molte crisi, come in Sud Sudan, dove intere aree del Paese si trovano a convivere con inondazioni prolungate, distruzione dei raccolti e sempre più estesi focolai di carestia. Allo stesso tempo, in altri Paesi fragili e segnati da decennali conflitti, come l’Afghanistan, osserviamo gli effetti di periodi eccezionalmente lunghi di siccità e di una crescente desertificazione.

 

Gli “Hotspot” della fame

 

INTERSOS opera in quelli che sono definiti i principali “hotspot” della fame, ovvero Paesi in condizioni assolutamente drammatiche. Siamo presenti nei primi quattro Paesi per numero di abitanti che vivono condizioni di insicurezza alimentare acuta. Numeri enormi: la Repubblica Democratica del Congo, con 25,9 milioni di abitanti che hanno bisogno di aiuti urgenti per fare fronte alla fame, la Nigeria, con 19,5 milioni di persone, lo Yemen, con 19 milioni, l’Afghanistan, con 18,9 milioni. Così come siamo in Sud Sudan, il Paese con la più alta percentuale di persone in condizioni di insicurezza alimentare acuta sul totale della popolazione.

 

Siamo in prima linea con vasti programmi di screening nutrizionali per individuare i casi di malnutrizione; con programmi di presa in carico dei casi di malnutrizione acuta severa per bambini da 0 a 5 anni (le principali vittime della malnutrizione) e per donne incinte o in allattamento (dalla cui adeguata nutrizione dipende la vita dei neonati); e con interventi di cosiddetta “sicurezza alimentare” (distribuzioni e sostegno all’autoproduzione di cibo).

 

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