L’accordo sul futuro della Libia è stato finalmente avviato. La speranza che le ostilità tra il primo ministro Fayez al Serraj e il suo rivale Khalifa Haftar, generale della Cirenaica, possano giungere al termine sembra aver preso forma nella città di Ginevra, alla presenza della Missione di Sostegno delle Nazioni Unite (Unsmil). Obiettivi comuni e principi generali riguardano l’integrità della Libia, la lotta al terrorismo e il rispetto dei diritti umani. Eppure, le condizioni di vita di migliaia di persone continuano ad essere allarmanti.

 

 

L’opinione pubblica mondiale ha iniziato a tirare un respiro di sollievo. Una delle guerre più pericolose degli ultimi anni potrebbe consumarsi totalmente, fino a scomparire. La verità però è molto più complessa dei buoni propositi. In Libia continua a persistere un’emergenza umanitaria dalle gravi ripercussioni future. Un milione di persone ha bisogno di aiuto umanitario, 392 mila sono gli sfollati attualmente presenti nel paese e 585 mila sono quei migranti e rifugiati, provenienti principalmente dall’Africa sub-sahariana, che cercano di intraprendere la rotta del Mediterraneo. Rischiare la propria vita e raggiungere l’Europa. L’alternativa sono i centri di detenzione libici dove vengono lasciati vivere in condizioni disumane.

 

A seguito della sospensione delle ostilità nel sud di Tripoli nel giugno 2020, si è registrato un lento ritorno delle famiglie sfollate ma il numero totale di persone in fuga e senza casa in tutto il paese rimane oggi del 30% più alto rispetto allo stesso periodo del 2019. Tornare in città significa, per molti di loro, dover ripartire da zero. La mancanza di servizi di base è un dato preoccupante per migliaia di persone.

 

Gli operatori umanitari INTERSOS, operativi sul campo dal 2018, continuano ad assistere i più vulnerabili come donne e minori. Quest’ultimi vengono seguiti nei due centri educativi e ricreativi presenti nella città di Tripoli e Sebah. Luoghi protetti, di formazione, di incontro e scambio culturale per bambini e bambine sia libici che migranti.

 

Con l’evolversi della situazione politico militare e le conseguenti ripercussioni sociali, INTERSOS ha avviato un nuovo progetto di aiuto umanitario itinerante. Una mobile unit finalizzata a completare l’intervento statico del centro “Baity” espandendone la sua capacità di sensibilizzazione e protezione, raggiungendo il maggior numero possibile di minori. L’unità mobile è composta da due assistenti sociali, un’ infermiera e un medico.

 

Obiettivo è riuscire a sensibilizzare le famiglie raggiunte su temi fondamentali per la salute come alimentazione ed igiene. Nelle attività di protezione rientra anche l’identificazione di casi di abusi a danno delle persone assistite, monitorando la loro condizione fisica e psicologica per capire come poter intervenire a loro supporto.

 

Nonostante la pandemia del COVID-19, che in Libia ha colpito in totale 56 mila persone con un picco di contagi nelle ultime settimane, le attività svolte dagli operatori INTERSOS proseguono. Si adattano a seconda delle relative misure di precauzione e restrizioni atte a mitigare la curva del contagio. In un territorio già fortemente fragile dal punto di vista medico, l’implosione del COVID-19 ha reso ancora più precario il sistema sanitario. L’elettricità va via improvvisamente, spegnendo così quei macchinari essenziali alla cura e salvezza della vita delle persone, rendendo impossibile il lavoro dei centri diagnostici e la capacità di monitorare il reale andamento dell’epidemia tra le comunità.

 

In questo contesto, che oscilla tra guerra sigillata e sanità a rischio, continuare ad essere presenti ed operativi sul campo anche con mobile unit in grado di raggiungere più persone possibili, diviene, per gli attori umanitari, un dovere improrogabile.

 

 

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